12/04/2023 – Pubblicato il nuovo Decreto Legislativo 23 febbraio 2023, n. 18
Ecco la seconda parte di approfondimento del nuovo Decreto Legislativo 23 febbraio 2023, n. 18.
L’Art. 6 stabilisce gli “Obblighi generali per l’approccio alla sicurezza dell’acqua basato sul rischio”. Nel comma 1. si stabiliscono gli obiettivi dell’approccio basato sul rischio, raggiunti tramite un controllo olistico di eventi pericolosi e pericoli di diversa origine e natura, inclusi i rischi correlati ai cambiamenti climatici, alla protezione dei sistemi idrici e alla continuità della fornitura, che prevede un adeguato scambio continuo di informazioni tra i gestori dei sistemi di distribuzione idro-potabili e le autorità competenti in materia sanitaria e ambientale. Al comma 2. si dettano gli elementi che devono essere contenuti nell’approccio basato sul rischio:
- valutazione e gestione del rischio delle aree di alimentazione per i punti di prelievo di acque da destinare al consumo umano, in conformità all’articolo 7;
- valutazione e gestione del rischio di ciascun sistema di fornitura idro-potabile che includa il prelievo, il trattamento, lo stoccaggio e la distribuzione delle acque destinate al consumo umano fino al punto di consegna, effettuata dai gestori idro-potabili in conformità all’articolo 8;
- valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione interni per gli edifici e locali prioritari, in conformità all’articolo 9.
Si comprende che tutti gli step dal prelievo delle acque destinate al consumo umano fino al loro utilizzo devono garantire la sicurezza delle stesse.
Nel comma 3. si definiscono i riferimenti per la valutazione e gestione del rischio che rimandano ai documenti OMS, trasposti nelle Linee guida nazionali per l’implementazione dei Piani di Sicurezza dell’Acqua, elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e contenute nel documento Rapporti ISTISAN 22/33 e successive modifiche e integrazioni ( disponibile al seguente link: https://www.iss.it/-/rapporto-istisan-22/33-linee-guida-nazionali-per-l-implementazione-dei-piani-di-sicurezza-dell-acqua.-gruppo-nazionale-di-lavoro-per-la-redazione-delle-linee-guida-nazionali-per-l-implementazione-dei-psa ).
Nel comma 4. si individuano le responsabilità delle Regioni e province autonome nell’effettuare una valutazione e gestione del rischio delle aree di alimentazione per i punti di prelievo di acque da destinare al consumo umano (punto a. del comma 2. sopra riportato) che deve essere resa disponibile, tramite i sistemi informativi SINTAI e AnTeA, alle autorità sanitarie e ambientali, sia regionali che nazionali, nonché autorità di bacino distrettuali e ai gestori idro-potabili operanti nei territori di propria competenza. La valutazione e gestione del rischio deve essere effettuata per la volta entro il 12 luglio 2027 e poi riesaminata a intervalli periodici non superiori a sei anni, e, se necessario aggiornata, come definito nel comma 5.
Il comma 6. richiede che la valutazione e gestione del rischio relativa alla filiera idro-potabile (punto b. del comma 2. sopra riportato) deve effettuata dai gestori idro-potabili per la prima volta entro il 12 gennaio 2029 quindi riesaminata a intervalli periodici non superiori a sei anni e, se necessario, aggiornata. A tal fine i gestori idro-potabili devono elaborare di Piani di Sicurezza dell’Acqua (PSA) per ogni sistema di fornitura idro-potabile. Tali PSA devono essere sottoposti all’approvazione da parte del Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque (CeNSiA) e devono essere, assieme alle registrazioni richieste, mantenuti costantemente conservati, aggiornati e disponibili alle autorità sanitarie territorialmente competenti, mediante condivisione con il sistema “Anagrafe Territoriale dinamica delle Acque potabili (AnTeA)” (secondo quanto indicato nell’Allegato VI). Le attività di approvazione delle valutazioni e gestioni del rischio di cui al comma 6, sono eseguite dal CeNSiA, sulla base degli indirizzi della Commissione nazionale di sorveglianza sui piani di sicurezza dell’acqua di cui all’articolo 20.
Il comma 8 e 9 regolano la valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione interni per gli edifici e locali prioritari di cui al comma 2, lettera c), che deve essere effettuata dai gestori idrici della distribuzione interna (GIDI) per la prima volta entro il 12 gennaio 2029, inserita dai medesimi gestori nel sistema AnTeA, riesaminata ogni sei anni e, se necessario, aggiornata. I gestori della distribuzione idrica interna devono dimostrare, su richiesta dell’autorità sanitaria locale territorialmente competente, il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 9, tenendo conto del tipo e della dimensione dell’edificio, assicurando che le procedure, le registrazioni e ogni altro documento rilevante siano costantemente conservati, aggiornati e disponibili. Si riporta la definizione di edifici e locali prioritari (Art. 2, comma 1., lettera (i): “edifici prioritari” o “locali prioritari”: gli immobili di grandi dimensioni, ad uso diverso dal domestico, o parti di detti edifici, in particolare per uso pubblico, con numerosi utenti potenzialmente esposti ai rischi connessi all’acqua, come individuati in allegato VIII. Le tipologie di edifici che rientrano in questa categoria sono elencate nella tabella dell’All. VIII che comprende, con una classificazione di priorità decrescente da A a D, il seguente elenco non esaustivo:
- Strutture sanitarie, socio-sanitarie e socioassistenziali in regime di ricovero
- Strutture sanitarie, socio-sanitarie e socioassistenziali non in regime di ricovero, inclusi centri riabilitativi, ambulatoriali e odontoiatrici
- Strutture ricettive alberghiere, istituti penitenziari, navi, stazioni, aeroporti – Ristorazione pubblica e collettiva, incluse mense aziendali (pubbliche e private) e scolastiche. In ultimo questo caso il GIDI può anche essere l’OSA, responsabile delle prassi e procedure funzionali al rispetto dei requisiti in materia di igiene alimentare e della corretta applicazione dei principi del sistema HACCP del servizio di ristorazione
- Caserme, istituti penitenziari, istituti di istruzione dotati di strutture sportive, campeggi, palestre e centri sportivi, fitness e benessere (SPA e wellness), altre strutture ad uso collettivo (es. stabilimenti balneari).
L’Art. 7 definisce le responsabilità e le modalità di gestione della “Valutazione e gestione del rischio delle aree di alimentazione dei punti di prelievo di acque da destinare al consumo umano” da parte delle Autorità ambientali delle regioni e province autonome. Sono listati gli elementi che devono essere contenuti in tale valutazione che comprendono, tra gli altri, una specificazione e mappatura delle aree di alimentazione per i punti di prelievo, una mappatura delle aree protette di cui all’art. 117 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le coordinate geo-referenziate di tutti i punti di prelievo delle aree di alimentazione, una descrizione dell’uso del suolo, del dilavamento e dei processi di ravvenamento delle aree di alimentazione per i punti prelievo, l’individuazione dei pericoli e degli eventi pericolosi nelle aree di alimentazione per i punti di prelievo e la valutazione del rischio che essi potrebbero rappresentare per la qualità delle acque da destinare al consumo umano, un adeguato monitoraggio nelle acque superficiali o nelle acque sotterranee o in entrambe per i punti di prelievo e nelle acque da destinare a consumo umano, di pertinenti parametri, sostanze o inquinanti selezionati tra quelli cui all’allegato I, parti A, B, di inquinanti delle acque sotterranee, di sostanze prioritarie e di alcuni altri inquinanti di cui alle tabelle Parte A, dell’allegato I alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, di inquinanti specifici dei bacini idrografici riportati nei Piani di Gestione delle Acque emessi in riferimento al decreto legislativo n. 152 del 2006, di altri inquinanti pertinenti per le acque destinate al consumo umano, stabiliti dalle Regioni e province autonome, di sostanze presenti naturalmente che potrebbero rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana attraverso l’uso di acque destinate al consumo umano. Sulla base dei risultati della valutazione del rischio le Autorità ambientali delle Regioni e province autonome devono provvedere affinché siano adottate le opportune misure di gestione del rischio intese a prevenire o controllare i rischi individuati, utilizzando misure di prevenzione, instaurando monitoraggi specifici, valutando la necessità di definire o adattare zone di salvaguardia per le acque sotterranee e superficiali secondo quanto previsto in merito dal decreto legislativo n. 152 del 2006. Le Autorità ambientali delle regioni e province autonome sono tenute a riesaminare almeno ogni 6 anni l’efficacia delle misure di prevenzione attuate. Le Autorità ambientali delle regioni e province devono garantire che i gestori idro-potabili abbiano accesso alle informazioni sulla valutazione del rischio e possono richiedere agli stessi di effettuare ulteriori monitoraggi o trattamenti per alcuni parametri oppure consentire agli stessi di ridurre la frequenza del monitoraggio di un parametro, o di rimuovere un parametro dall’elenco dei parametri che il gestore di acqua deve monitorare. Le Autorità ambientali delle Regioni e province autonome e le Agenzie del Sistema Nazionale Protezione Ambiente (SNPA), trasmettono all’ISPRA e mantengono aggiornate le informazioni di cui all’allegato VII (al quale si rimanda per i dettagli) tramite il SINTAI. In questo articolo appare evidente come la tutela delle acqua destinate al consumo umano sia strettamente correlata alle tutela delle acque prevista dalla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa alla difesa del suolo e alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque dall’inquinamento e alla gestione delle risorse idriche.
L’Art. 8 definisce le responsabilità e le modalità di gestione della “Valutazione e gestione del rischio del sistema di fornitura idro-potabile” da parte dei gestori idro-potabili che sono chiamati a elaborare il PSA del proprio sistema di fornitura idro-potabile e a richiederne la successiva approvazione da parte del CeNSiA. Il PSA deve:
- considerare i risultati della valutazione e gestione del rischio effettuata dalle Autorità regionali di cui all’articolo 7 integrata, se del caso, da un’analisi dei rischi per approvvigionamenti idrici consistenti in acque da destinare a consumo umano di diversa origine, per le quali non siano disponibili valutazioni specifiche (come ad esempio nel caso di prelievo di acque di origine marina);
- includere una descrizione del sistema di fornitura che comprenda il punto di prelievo, i trattamenti, lo stoccaggio e la distribuzione dell’acqua, con particolare riguardo alle zone di fornitura idro-potabile;
- individuare i pericoli e gli eventi pericolosi nell’ambito del sistema di fornitura idro-potabile, includendo una valutazione dei rischi che essi potrebbero rappresentare per la salute umana attraverso l’uso delle acque, tenendo conto anche dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici, da perdite idriche, dalla vulnerabilità dei sistemi, da fattori che incidono sulla continuità della fornitura, per garantire l’accesso universale ed equo ad acqua sicura;
- definire e porre in essere misure di controllo adeguate alla prevenzione e all’attenuazione dei rischi individuati;
- definire e porre in essere misure di controllo adeguate nel sistema di fornitura idro-potabile, oltre alle misure previste o adottate conformemente all’articolo 7 precedentemente illustrato per l’attenuazione di ulteriori rischi provenienti dalle aree di alimentazione dei punti di prelievo;
- definire e porre in atto un adeguato programma di monitoraggio operativo specifico per il sistema di fornitura e un programma di controllo, conformemente all’articolo 12;
- nei casi in cui la disinfezione rientri nel processo di preparazione o di distribuzione delle acque destinate al consumo umano, garantire la verifica dell’efficacia della disinfezione attuata e al contempo che la contaminazione da sottoprodotti di disinfezione sia mantenuta al livello più basso possibile, che la contaminazione da reagenti chimici per il trattamento sia mantenuta al livello più basso possibile e che qualsiasi sostanza residua nell’acqua non comprometta il rispetto degli obblighi generali riportati nell’articolo 4;
- comprendere una verifica della conformità dei materiali a contatto con le acque destinate al consumo umano e dei reagenti chimici e materiali filtranti impiegati per il loro trattamento, in riferimento ai criteri stabiliti agli articoli 10 e 11 più avanti riportati.
Sulla base dei risultati della valutazione del rischio per il sistema di fornitura idro-potabile il gestore idro-potabile deve definire la frequenza dei controlli interni di verifica della conformità sulle acque destinate al consumo umano, secondo le prescrizioni generali di cui all’articolo 14 e tenendo conto delle possibilità di ridurre la frequenza dei controlli di un parametro o di rimuovere un parametro dall’elenco dei parametri da sottoporre a controllo interno (ad eccezione dei parametri fondamentali di cui all’allegato II, Parte B, punto 1, gruppo A) oppure dell’obbligo di ampliamento dell’elenco dei parametri da sottoporre a controllo interno ai sensi dell’articolo 14 o di aumento della frequenza del controllo interno nei casi previsti. La valutazione del rischio del sistema di fornitura idro-potabile deve comprendere i parametri di cui all’allegato I, parti A, B e C, i parametri supplementari fissati ai sensi dell’articolo 12, comma 13, nonché le sostanze o i composti inseriti nell’elenco di controllo stabilito ai sensi dell’articolo 12, comma 10 e i controlli supplementari di cui all’articolo 12, comma 12. Sono escluse dall’applicazione dell’Art. 8 e quindi dall’effettuazione della valutazione del rischio, le forniture idro-potabili che erogano, in media, tra 10 e 100m³ di acqua al giorno o servono tra 50 e 500 persone, a condizione che l’autorità sanitaria locale territorialmente competente abbia accertato che tale esenzione non comprometta la qualità delle acque destinate al consumo umano. In questo caso sono comunque previsti controlli interni periodici in conformità all’articolo 14.
L’Art. 9 definisce le responsabilità e le modalità di gestione della “Valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione idrica interni alle strutture prioritarie” individuate all’allegato VIII. I gestori della distribuzione idrica interna (GIDI) di tali strutture devono effettuare, con particolare riferimento ai parametri elencati nell’allegato I Parte D, una valutazione del rischio adottando, nei casi in cui si evidenzi un rischio per la salute umana dovuta a tali sistemi, le necessarie misure preventive e correttive, proporzionate al rischio, per ripristinare la qualità delle acque distribuite. La valutazione e gestione del rischio si deve basare sui principi generali della valutazione e gestione del rischio stabiliti secondo le Linee Guida per la valutazione e gestione del rischio per la sicurezza dell’acqua nei sistemi di distribuzione interni degli edifici prioritari e non prioritari e di talune navi ai sensi della direttiva (UE) 2020/2184, Rapporto ISTISAN22/32. Nei casi di non conformità ai punti d’uso nei locali degli edifici prioritari ricondotte al sistema di distribuzione idrico interno o alla sua manutenzione, si devono applicare le misure correttive di cui all’articolo. È compito delle Regioni e province autonome promuovere la formazione specifica sulle disposizioni del presente articolo dei gestori dei sistemi idrici interni, degli idraulici e per gli altri professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione idrici interni e dell’installazione di materiali da costruzione e materiali che entrano in contatto con l’acqua destinata al consumo umano, in coordinamento con il Ministero della salute e il CeNSiA.
L’Art. 10 definisce i “Requisiti minimi di igiene per i materiali che entrano a contatto con le acque destinate al consumo umano”. Con riferimento ai requisiti generali dell’articolo 4 per le acque destinate al consumo umano, è previsto che i materiali destinati a essere utilizzati in impianti nuovi o, in caso di riparazione o di totale o parziale sostituzione, in impianti esistenti per il prelievo, il trattamento, lo stoccaggio o la distribuzione delle acque destinate al consumo umano e che possono, in ogni modo, entrare a contatto con tali acque, non devono nel tempo:
- compromettere direttamente o indirettamente la tutela della salute umana;
- alterare il colore, l’odore o il sapore dell’acqua;
- favorire la crescita microbica;
- causare il rilascio in acqua di contaminanti a livelli superiori a quelli accettabili per il raggiungimento delle finalità previste per il loro utilizzo.
Inoltre i materiali di non devono, nel tempo, modificare le caratteristiche degli scarichi derivanti dall’acqua con cui essi vengono posti a contatto, in modo tale da non consentire il rispetto dei valori limite di emissione degli scarichi idrici previsti nell’allegato 5, alla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006. Temporaneamente, in attesa dell’applicazione degli atti di esecuzione che la Commissione Europea prevede di adottare per stabilire requisiti minimi armonizzati per i materiali sulla base dei principi sanciti nell’allegato V della Direttiva (UE) 2020/2184, ai materiali contemplati dal presente articolo si devono applicare le disposizioni nazionali stabilite nel decreto del Ministro della salute del 6 aprile 2004, n. 174. È inoltre previsto che il Ministro della Salute, in cooperazione con l’ISS, possa adottare criteri aggiuntivi di idoneità per i materiali che entrano a contatto con l’acqua destinata al consumo umano. Si ricorda inoltre che, sulla base della Direttiva (UE) 2020/2184, l’ECHA è incaricata di definire gli elenchi positivi europei di sostanze di partenza, composizioni o componenti per le quattro tipologie di materiali previsti, ovvero materiali organici, cementizi, metallici, smalti e ceramiche, di cui sarà autorizzato l’uso nella fabbricazione di materiali o prodotti a contatto con acqua destinata al consumo umano. Tale attività è già iniziata con la raccolta degli elenchi positivi già esistenti a livello nazionale nei paesi membri.
L’Art. 11 definisce i “Requisiti minimi per i reagenti chimici e i materiali filtranti attivi e passivi da impiegare nel trattamento delle acque destinate al consumo umano”. Tale materiali e reagenti sono siglati “ReMaF”. Sono elencati i criteri generali per tali reagenti e materiali, che sono similari a quelli dei materiali a contatto. È previsto che a partire dal 12 gennaio 2036, possono essere immessi sul mercato nazionale e utilizzati negli impianti di captazione, trattamento, stoccaggio, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano, esclusivamente i ReMaF conformi ai requisiti di questo decreto, autorizzati dal CeNSiA e registrati nel sistema AnTeA secondo le modalità riportate nell’allegato IX, sezione E, previa certificazione di conformità ai requisiti tecnici di idoneità con le modalità previste alle sezioni B, C e D del medesimo allegato. Gli operatori economici interessati, a decorrere dal 12 gennaio 2026, possono avviare l’iter di autorizzazione di un ReMaF secondo le procedure descritte nell’allegato IX, sezione E, sulla base della certificazione di conformità rilasciata da un Organismo di certificazione di terza parte accreditato UNI CEI EN ISO/IEC 17065 da un Ente di accreditamento designato ai sensi del Reg. (CE) 765/2008. L’autorizzazione del CeNSiA può essere concessa solo a ReMaF che sono conformi ai requisiti tecnici di idoneità per l’uso previsto, riportati nell’Allegato IX, sezioni B, C e D. I ReMaF potranno essere immessi in commercio, successivamente all’autorizzazione e alla registrazione, solo se corredati da apposite attestazioni di rispondenza ai requisiti minimi stabiliti da questo decreto quali una marcatura o etichettatura o stampigliatura ovvero una dichiarazione di conformità sostitutiva, nonché un codice alfanumerico identificativo univoco, rilasciate dal CeNSiA secondo le modalità riportate nell’allegato IX, sezione E. L’elenco aggiornato dei ReMaF autorizzati ai sensi del presente decreto sarà pubblicato in una apposita sezione del sistema informativo centralizzato AnTeA. I ReMaF in possesso di un’autorizzazione concessa da un altro Stato membro dell’Unione europea o facente parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) o dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), potranno essere immessi sul mercato nazionale a condizione che lo stesso sia stato sottoposto a una valutazione igienico-sanitaria da parte di un Organismo tecnico-scientifico riconosciuto nel medesimo Paese, sulla base di criteri che garantiscano un livello di sicurezza per la salute umana equivalente a quello del presente decreto. Ai fini dell’autorizzazione all’immissione in commercio, il CeNSiA riconosce l’autorizzazione concessa dallo Stato membro dell’Unione Europea o facente parte del SEE o dell’EFTA, e procede alla registrazione secondo quanto stabilito in allegato IX, sezione E. L’importazione per l’immissione sul mercato nazionale dei ReMaF di paesi extra-UE o provenienti da Stati non appartenenti allo SEE o all’EFTA, sarà possibile solo se gli stessi saranno conformi alle disposizioni del presente articolo, autorizzati e registrati secondo le modalità riportate nell’allegato IX, sezione E, previa certificazione di conformità ai requisiti tecnici di idoneità di cui alle sezioni B, C e D del medesimo allegato. Sono inoltre definiti gli obblighi degli Operatori economici che producono o commercializzano i ReMaF in merito al rispetto delle disposizioni del presente decreto e alle responsabilità nel garantire e dimostrare di aver adeguatamente provveduto ai controlli e agli accertamenti necessari, mettendo a disposizione delle competenti autorità sanitarie che ne facessero richiesta, le informazioni necessarie a consentire la verifica della conformità dei ReMaF ai requisiti fissati nel presente decreto. Inoltre devono assicurare che ogni fornitura di ReMaF sia corredata delle attestazioni di rispondenza al presente decreto e informare tempestivamente l’Organismo di certificazione di qualsiasi modifica eseguita su uno specifico ReMaF già autorizzato o in fase di autorizzazione. Sono inoltre definite le responsabilità degli operatori per evitare fenomeni di contaminazione dei ReMaF durante le fasi di trasporto, stoccaggio e distribuzione, garantire la purezza e la qualità dei precursori impiegati nella generazione in situ dei ReMaF. Per ReMaF generati in situ da precursori, per quanto di competenza, l’obbligo di garantire la purezza e la qualità dei reagenti chimici generati sul luogo ricade sui fabbricanti o distributori dei dispositivi generatori e sui gestori idro-potabili che li utilizzano. Chiunque sia responsabile di interventi di captazione, trattamento, stoccaggio, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano, dal 12 gennaio 2036 deve utilizzare esclusivamente ReMaF autorizzati ai sensi del presente decreto, inoltre deve adottare misure idonee a prevenire fenomeni di contaminazione durante le fasi di trasporto, stoccaggio, distribuzione e installazione dei ReMaF, assicurando le condizioni di utilizzo previste per il ReMaF stesso. Chiunque si approvvigioni di ReMaF immessi sul mercato nazionale dal 12 gennaio 2036, deve conservare per almeno cinque anni dal loro utilizzo, preferibilmente in formato digitale, la relativa documentazione di acquisto e le attestazioni di rispondenza ai requisiti del presente decreto, rendendole disponibili all’autorità sanitaria locale territorialmente competente che ne facesse richiesta. I ReMaF immessi sul mercato nazionale prima de 12 gennaio 2036 e conformi alle disposizioni previgenti, potranno essere utilizzati fino ad esaurimento delle scorte.
(continua – nel prossimo periodo vi sarà l’ultimo articolo di approfondimento e conclusione della trattazione del nuovo testo di legge)